Rassegna Stampa
Medicina. Ministero della Salute: “Alcuni corsi di laurea non si possono non chiudere”. Giannini: “Attivo da oggi test di autovalutazione che contribuirà a scrematura iniziale”
15/07/2015
Rossana Ugenti, direttore generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane alla Salute, focalizza le priorità. “La sostenibilità del sistema non può prescindere da una corretta programmazione”. Un approccio condiviso da tutti gli stakeholders intervenuti in un convegno al Senato. Il ministro dell’Istruzione e dell’Università: “L’idea sarebbe che gli iscritti al test di Medicina, una vera e propria onda anomala, scendessero a una massa critica fisiologica di 25mila, al massimo 30mila”
Il sistema della formazione in medicina, di base e specialistica, garantisce ogni anno l’inserimento di migliaia di validissimi professionisti che collocano il nostro Ssn ai primissimi posti su scala globale. Allo stesso tempo, però, non mancano le criticità, legate soprattutto all’elevato numero di studenti che si laurea in Medicina, mentre tra diminuzione delle risorse finanziarie e blocco del turn over gli accessi alle scuole di specializzazione devono attenersi a limiti ben precisi, generando così un meccanismo a imbuto. Il ministro dell’Istruzione e dell’Università, Stefania Giannini, intervenendo al seminario ‘La formazione di base e specialistica del medico in Italia’ svoltasi presso la sala Zuccari del Senato, ha ricapitolato ed elogiato il lavoro del Governo. “Abbiamo la soddisfazione di aver avviato un percorso che garantisce la corrispondenza più precisa possibile tra numero di laureati in medicina e quantità di posti nelle scuole di specializzazione”.
Giannini ripercorre le tappe di questi ultimi mesi. “Abbiamo profuso uno sforzo gigantesco – sottolinea – Nel febbraio 2014, appena insediati al governo, le borse erano 3300 mentre ora sono 6500; abbiamo messo a regime una cifra enorme, garantendo così che per quest’anno, a fronte di circa 13mila candidati, ci sarà la possibilità per un medico su due di accedere alle borse. Proseguendo lungo questa direzione stiamo quindi cercando di costruire un percorso formativo a ciclo unico, come avviene nella maggior parte dei Paesi occidentali”.
Altro aspetto nodale riguarda l’accesso alla facoltà di Medicina. “Bisogna mettere in campo uno sforzo congiunto, in modo da affiancare qualità e selezione. Il test funziona, ma stiamo anche correggendo il tiro per migliorare. Stiamo inserendo quest’anno per la prima volta, a partire da oggi a mezzogiorno, sul portale Universitaly, un test di orientamento e di autovalutazione, quindi senza incidenza sul punteggio, che funga da bussola per i ragazzi e che consenta di calmierare il numero di giovani che vogliono intraprendere la professione medica”. Non manca, ancora una volta un accenno al modello alla francese, di cui il ministro già in passato aveva spesso tessuto le lodi. “Lo ritengo sempre molto valido; resta tuttavia ancora aperto un grosso problema: 1 su 5 degli immatricolati italiani vuol fare il medico. L’idea sarebbe che la cifra di circa 70mila iscritti al test, una vera e propria onda anomala, scendesse a una massa critica fisiologica di 25mila, al massimo 30mila. In questo caso sarebbe possibile un processo di selezione durante i primi anni, proprio come avviene in Francia”.
Dal Ministero della Salute arriva addirittura la richiesta di un intervento più radicale. “La sostenibilità del sistema non può prescindere da una corretta programmazione – avverte Rossana Ugenti, direttore generale delle professioni sanitarie e delle risorse umane presso il Ministero della Salute – In quest’ottica ci sono alcuni corsi di laurea che non si possono non chiudere”. Imprescindibile lavorare sul merito, ma anche sul metodo delle questioni. “Da qui passa un’efficace definizione dei fabbisogni. Bisogna quindi intervenire su alcune modalità operative: troppo spesso i soggetti coinvolti non interagiscono tra loro e non si confrontano, finendo così per parlare linguaggi differenti. Esistono infatti miriadi di banche dati che non vengono incrociate e non sono messe a sistema”.
La parola chiave è quindi “programmazione”. Se manca, “rischia di saltare tutto il sistema – ammonisce Antonio Benedetti, Presidente della Conferenza Permanente delle Facoltà e delle Scuole di Medicina – Servono regole ferree che non vengano cambiate ogni anno: questo è il punto fondamentale. Contestualmente è importante, come sta avvenendo, indirizzare i nostri ragazzi verso l’autovalutazione: è nostro dovere instillare tra i giovani la cultura dell’orientamento. Il tutto all’interno di un quadro che mantenga standard qualitativi uguali per tutti gli specializzandi”. Il Miur, da parte sua, pone sul tavolo alcuni spunti operativi. “Vogliamo creare un tavolo permanente con i presidi di Medicina, ma anche riflettere sull’idea di rendere la laurea abilitante – riferisce Luisa De Paola, direttore generale per l’università, lo studente e il diritto allo studio – Condivido l’importanza di migliorare la programmazione, considerando però che si tratta di un aspetto strettamente legato alle risorse disponibili. E tenendo sempre presente che la finalità per gli specializzandi deve essere la formazione, più che il lavoro in sebso letterale”.
Organizzatrice e anima del seminario è stata la senatrice Emilia Grazia De Biasi, presidente della Commissione Igiene e Sanità, che ha auspicato “la nascita di un impianto legislativo nuovo, considerando che stiamo attraversando una fase di transizione e di revisione del profilo del medico. Bisogna quindi mettere a sistema tutte le risorse a disposizione e i soggetti in gioco, all’insegna di scelte condivise che riguardino elementi essenziali come la responsabilità professionale e la deontologia”. Gli scenari mostrano infatti una trasformazione progressiva ma costante “in cui l’unico riferimento non è più esclusivamente l’ospedale, in quanto si è aggiunto anche il territorio. Per questo è imprescindibile lavorare sulla cronicità e sull’invecchiamento della popolazione, costruendo processi integrati con le altre professioni. Devo riconoscere che in quest’ottica ci sono dei ritardi, ma auspico che svengano superati dalla Commissione Bilancio del Senato, nell’esame dei nostri emendamenti per varare ameno in prima lettura il riconoscimento delle professioni sanitarie”. Sulla stessa lunghezza d’onda anche il senatore Andrea Marcucci, presidente della Commissione Cultura e Istruzione. “Dobbiamo affermare il coraggio di mettere in discussione i nodi sistemici, costruendo meccanismi integrati e creando sinergie tra le parti in campo”.
Assente fisicamente invece il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che impegnata in attività istituzionali ha comunque inviato un messaggio, evidenziando alcuni problemi strutturali peculiari degli ultimi anni. “I contingentamento dei posti, strumento mirato a un più facile inserimento nel mondo del lavoro, in questi anni non si è realizzato sia per il perdurare di un lungo periodo di crisi, caratterizzato dal blocco del turn over nelle Regioni in Piano di rientro e dai vincoli economici sulla spesa del personale introdotti con varie finanziarie ancora in vigore, sia per lo scarso numero di contratti per gli specializzandi rispetto al numero dei laureati in medicina, in un sistema sanitario in cui si accede solo se in possesso del diploma di Specializzazione o del titolo di formazione specifica in Medicina Generale. Ciò comporta che ogni anno un numero elevato di professionisti resta escluso dal completamento del percorso formativo”. Lorenzin ha inoltre ribadito che i sistemi formativi “sono sfidati dalla necessità di offrire anche una formazione che accresca la capacity building nella gestione della complessità, promuovendo quando opportuno un cambiamento nelle modalità formative”. Accanto alla formazione frontale “può infatti trovare spazio un approccio di team learning che sviluppi nel confronto tra pari la capacità del gruppo di affrontare e risolvere i problemi, poiché è proprio il team multidisciplinare che consente un elevato tasso di competenze trasversali necessarie alla risoluzione di problemi complessi”.
Per immortalare la complessità del quadro Angelo Mastrillo, professore a contratto presso l’Università di Bologna, ha fornito alcune cifre da cui si desume che la proporzione tra fabbisogno di specializzandi e laureati in Medicina, alla luce di un turn over medio pari circa al 2%, ha tutto sommato retto sino al 2006. E’ dal 2007, anno spartiacque che iniziano a incepparsi gli ingranaggi: la differenza tra specializzandi e laureati 6 anni prima inizia a oltrepassare stabilmente il -10%: nel 2007 -14,4%, nel 2008 -14,6, nel 2009 -12,5%, nel 2010 -12,8%. “A partire dal 2008 – spiega – la situazione non è più sotto controllo: le Regioni incrementano il proprio fabbisogno e iniziano a lievitare progressivamente i posti disponibili per la facoltà di Medicina”. Per Mastrillo la prospettiva auspicabile “sarebbe tornare a circa 7mila laureati ogni anno. In questo modo le specializzazioni assorbirebbero in maniera sostenibile poco più di 6mila unità e il rimanente si dirigerebbe fisiologicamente all’estero. Devo comunque riconoscere che quest’anno, grazie all’apporto del Ministero della Salute, la situazione è stata riequilibrata”. Ma gli scenari futuri celano pesanti incognite: continuando di questo passo, nel 2020 si registrerà un’esplosione di laureati tra gli iscritti 6 anni prima, che salirebbero a 15.015 rispetto ai 9.951 del 2019.
Il sistema per funzionare necessita comunque di poggiare su un assunto ben preciso: “Valorizzare pienamente il percorso di studio, perché è un vero e proprio spreco continuare a produrre laureati che poi non esercitano la professione medica”, è la riflessione proposta da Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale (Cun) – Nostro dovere è preparare oggi medici che domani siano muniti di chiavi e coordinate universali per adattarsi a quella che sarà la medicina”. Per migliorare l’efficienza complessiva Lenzi suggerisce “di inserire l’abilitazione dopo ogni seduta di laurea”. Allo stesso tempo “è necessario valorizzare il percorso formativo durante la laurea, perché oggi vale ancora troppo poco. In caso contrario, gli studenti tenderanno a scegliere il posto in cui si consegue più facilmente il titolo”.
Ma non tutti i cambiamenti contengono necessariamente una valenza positiva. “Troppo spesso le scelte dei decisori politici hanno provocato eccessive trasformazioni nel mondo della professione medica – mette in guardia Eugenio Gaudio, rettore a La Sapienza di Roma – Il rischio, infatti, è quello di doversi riadattare di continuo e sarebbe controproducente dato che in molti contesti la vera sfida è riuscire a consolidare. Per esempio possiamo vantare atenei nettamente migliori rispetto alla percezione diffusa in Italia”. Le vere priorità sono legate “alla capacità di costruire una visione complessiva, costruendo forti intese tra più Ministeri. Solo così renderemo il nostro welfare davvero sostenibile. Non riuscirci significherebbe allargare diseguaglianze e sperequazioni”. La formazione post laurea in Italia rappresenta comunque un’eccezione nel panorama europeo “dato che in quasi tutti gli altri Paesi è effettuata negli ospedali – osserva Enrico Reginato, presidente della Federazione europea medici specialisti – Il meccanismo a collo di bottiglia che imperversa nel nostro contesto ci accomuna alla Spagna, poiché gran parte delle altre realtà possono vantare una migliore programmazione”. Nel complesso però “le condizioni lavorative mostrano grosse disparità tra i vari sistemi sanitari europei e ciò produce forti migrazioni da uno Stato all’altro”.
Altra sfida risiede “nella misurazione delle competenze – sottolinea Roberto Vettor, presidente dell’Osservatorio nazionale della Formazione Specialistica in Medicina – Abbiamo bisogno di un deciso salto di qualità in questo senso che potrebbe essere garantito dall’istituzione di un board nazionale ad hoc. I criteri di qualità vengono applicati ai processi, ma quasi mai al prodotto finale. Si tratta di un elemento da modificare al più presto, anche alla luce della forte disomogeneità tra i differenti percorsi di specializzazione in Medicina”. Dai Giovani Medici (Sigm) arriva un appello “per rinforzare l’osmosi tra formazione e lavoro – chiede il vice presidente Andrea Silenzi – Anche perché è inevitabile ragionare nell’ottica di una competizione tra sistemi sanitari differenti che producono professionisti. A questo proposito devo purtroppo ricordare che in Italia la medicina generale sconta difficoltà enormi rispetto al resto d’Europa”. Questione che chiama direttamente in causa la Fimmg. “Non esistono percorsi nelle università che proiettino i neolaureati verso la medicina generale – spiega il vicesegretario nazionale vicario del sindacato, Silvestro Scotti – Al sistema formative sembrano sconosciute le dinamiche che animano questo settore. Bisognerebbe, invece, valutare assieme al Ministero una nuova programmazione rispetti agli accessi alle scuole di medicina generale. Purtroppo ogni Regione vuole imporre un proprio modello e ciò, sino a oggi, ha impedito una seria pianificazione nazionale”.
Programmazione che “è ormai saltata da un bel po’ anche per gli odontoiatri – aggiunge Giuseppe Renzo, presidente della Cao Fnomceo – La proliferazione dei corsi di laurea è ormai un fatto indiscutibile e bisognerebbe quindi iniziare a eliminare quelli che forniscono una formazione inadeguata”. Senza però dimenticare “che tutti coloro che si laureano in medicina devono esercitare il proprio diritto a completare il ciclo formativo – afferma Costantino Troise, segretario nazionale dell’Anaao Assomed – Impedendo a molti di accedere alle scuole di specializzazione stiamo finanziando la formazione medica di mezza Europa”. Serve quindi una “riforma radicale del sistema formativo che non è più in grado di rispondere ai reali fabbisogni. E, ormai, tra ricorsi e sentenze di ogni tipo il numero chiuso è diventato soltanto una formale”. Troise rilancia quindi la proposta: “Aboliamo l’esame di abilitazione e rendiamo la laurea abilitante”.
“Sono molto preoccupato poiché non sappiamo più cos’è e dove si trova il mondo medico – riflette il senatore Amedeo Bianco, membro della Commissione Igiene e Sanità – Per esempio non sappiamo più cosa fa il nostro esercito di riserva, composto da 25-30mila soggetti sine materia. Si tratta in parte di laureati e in parte di specializzandi che operano all’oscuro della pancia del sistema, magari nella sanità low cost, Allora iniziamo a cambiare i paradigmi, perché con queste regole di ingaggio proprio non ce la facciamo”.
Gennaro Barbieri